I NOSTRI FIGLI HANNO IL DIRITTO DI NON ESSERE CAMPIONI

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I NOSTRI FIGLI HANNO IL DIRITTO DI NON ESSERE CAMPIONI

I NOSTRI FIGLI HANNO IL DIRITTO DI NON ESSERE CAMPIONI

 IL NOSTRO MOTTO “ I NOSTRI FIGLI HANNO IL DIRITTO DI NON ESSERE CAMPIONI”

In un’epoca, come l’attuale, in cui il tempo libero dei bambini e dei ragazzi soffre dell’influenza sempre più negativa di attività assai meno formative, quando non addirittura alienanti, noi genitori dovremmo essere orgogliosi di nostro figlio che si propone positivamente all’ attività fisica ed in questo caso al judo che è uno sport divertente e completo in quanto l’ allenamento tocca tutte le sfere a 360°: giochi, preparazione atletica, acrobatica, tecnica, mobilità, tattica, ma è anche uno sport di lotta e di contatto fisico faticoso che ti pone ogni allenamento ad uscire dalla propria zona comfort e questo lo renderà un allenamento migliorativo ad ogni seduta. Quindi guardiamo sempre positivamente ai nostri figli senza giudicarli, ma incentivandoli alla pratica anche in momenti di stanchezza perché quando saranno sul tatami questa svanirà e farà spazio all’ entusiasmo.

Per la Nami Academy la vera arte dell'educazione è tirare fuori dall'allievo il meglio che ha dentro di sé, è così infatti che nascono le tecniche speciali sulle quali si andrà a lavorare, giorno dopo giorno, senza fretta, perché quell’ atleta possa riconoscere le sue doti e metterle al servizio di sé stesso e degli altri. Ponendosi sempre degli obiettivi grazie alla partecipazione a delle competizione che fungono da stimolo e non da ossessione alla vittoria la quale è sempre ben accetta e ben considerata ma per noi è un obiettivo secondario.

Non è forse l’accettazione di sé stessi quanto possa risultare oggi più difficile perseguire quando tutto intorno a noi grida alla soddisfazione immediata? Alla ricerca continua della perfezione fisica secondo canoni universalmente stabiliti? Al raggiungimento immediato e senza sforzo di obiettivi spesso dalla maggior parte di noi realisticamente irraggiungibili?

Per questo cerchiamo di insegnare ai nostri atleti che l’ autostima, la comprensione e la considerazione di sè passa per il “darsi un’ altra possibilità” di imparare a qualsiasi età e con qualsiasi fisico, di allenarsi, di combattere, di perdere, di sentirsi sopraffatti, di venire sopraffatti, di credere a volte di non potercela fare, ma alla fine di capire che ad ogni botta, ad ogni caduta, si sarà sempre in grado di rialzarsi, questo è ciò che auspichiamo ai nostri allievi, questo è quello per cui vale veramente la pena “combattere”.

Anche se la nostra associazione è basata sull’ idea di un percorso sportivo agonistico in quanto il judo è uno sport olimpico e non vediamo lo sport soltanto come mettere i bambini a giocare a “prendere”, ma crediamo nella crescita del bambino attraverso la competizione che non deve essere vissuta contro un avversario ma nel superare e migliore se stessi grazie all’individualità di questo sport.

In particolare è emerso che i genitori o coach che sostengono obiettivi di padronanza nei figli, in cui lo scopo dell’attività sportiva è sviluppare competenza e padronanza e dove l’errore è considerato parte del processo di apprendimento, concorrono nel creare un’esperienza più vantaggiosa per i giovani nello sport.

Invece, la predominanza di obiettivi di prestazione, in cui si desidera dimostrare il proprio livello di abilità rispetto agli altri e dove l’errore rivela una mancanza di capacità, è spesso associata a minor autostima e a maggiori livelli di stress.

Anche la pressione esercitata dei genitori e svolge un ruolo importante nello sport giovanile. Secondo alcune ricerche presenti in letteratura, i minori che possiedono una motivazione intrinseca verso lo sport e riferiscono di divertirsi di più durante la pratica sportiva hanno dei genitori che si rapportano nei loro confronti con un atteggiamento di supporto. Esercitare, invece, troppa pressione e riporre eccessive aspettative sul giovane atleta ha degli effetti negativi come un aumento dell’ansia da prestazione, timore del fallimento, fluttuazioni della motivazione, sino all’ abbandono dello sport praticato.

Il focus dovrebbe essere, invece, “sul processo”, ovvero sui benefici che la pratica sportiva apporta nel corso dello sviluppo facendo acquisire nuove competenze e dando la possibilità di uscire dalla propria zona di comfort confrontandosi, così, con i propri punti di forza e aree di accrescimento. Al contrario, focalizzandosi esclusivamente sul risultato si corre il rischio che il figlio si senta degno di essere amato e valorizzato solo in relazione ai successi ottenuti e che venga caricato di attese che non sempre riesce a soddisfare [4]. Tutto questo può avere delle conseguenze nelle fasi successive di sviluppo: un adolescente vittima di aspettative troppo elevate nei propri confronti, prima o poi rischierà di crollare di fronte ai possibili fallimenti e sconfitte. La sensazione di aver deluso le aspettative, di aver fallito e la frustrazione di non avercela fatta portano ad un altissimo tasso di dropout sportivo. Sembra, dunque, che l’obiettivo di anni dedicati allo sport non sia stato il piacere e il divertimento del gioco in sé, ma il raggiungimento di una carriera agonistica.

A tal proposito, è stato dimostrato che la maggior parte degli atleti d’élite non ha iniziato la propria carriera sportiva con l’aspirazione di diventare grandi campioni e nemmeno i genitori riserbavano tali aspettative verso i figli [5]. Si tratta, invece, di bambini che hanno sperimentato numerosi sport e che sono stati incoraggiati a partecipare per divertimento e crescita personale. Solo più tardi, dopo essersi appassionati a una particolare disciplina sportiva e aver dimostrato talento, hanno sviluppato aspirazioni sportive d’élite. In tutto questo fondamentale è stato il supporto, e non la pressione, di genitori e allenatori [2].

Come cambia il contributo del genitore nel corso del tempo?

  1. Fase iniziale: il bambino prova vari sport o discipline sulla base delle proprie inclinazioni e disposizioni individuali per poi scegliere la disciplina nella quale finirà per specializzarsi in seguito. In questa fascia d’età (con allievi/atleti di 5-8 anni) il divertimento assume un ruolo centrale, il bambino riceve incoraggiamento da parte degli adulti significativi e si sente libero di sperimentare in modo ludico le sue potenzialità. I genitori infondono il valore dell’impegno e dell’importanza di applicarsi con dedizione, ma in genere non enfatizzano la vittoria come l’obiettivo primario dell’esperienza sportiva.

  2. Fase dell’investimento: se nel figlio viene riconosciuto il talento, il giovane atleta inizia a specializzarsi in un determinato sport e viene affidato a un allenatore o a un coach esperto che si fa carico della sua crescita atletica nel lungo periodo. Il focus si sposta dal divertimento alla padronanza tecnica e tattica e alla ricerca dell’eccellenza nelle abilità sport/disciplina specifiche. I genitori rivestono un ruolo importante nella gestione logistica e temporale di allenamenti e competizioni, nell’investimento finanziario, ma soprattutto nel supporto emotivo.

  3. Fase di eccellenza e delle prestazioni d’élite: il figlio è riconosciuto come un atleta d’élite, si allena molte ore al giorno con l’obiettivo di ottimizzare le competenze tecniche e tattiche per raggiungere e mantenere nel tempo delle prestazioni di successo. Il giovane atleta matura una scelta di vita professionale e la carriera agonistica va a definire un’identità forte e stabile. I genitori sono meno coinvolti rispetto alle fasi precedenti, ma sono un’importante fonte di sostegno emotivo e sociale.

  4. Fase di mantenimento dell’eccellenza: l’atleta si focalizza sul mantenimento degli standard prestativi che ha raggiunto ed è esposto a costati pressioni interne ed esterne.

La genitorialità di successo per lo sport giovanile può essere difficile, ma ne vale la pena.

La maggior parte dei bambini avrà dei benefici a livello fisico, psicologico e sociale, ma solo pochi diventeranno grandi campioni. È importante quindi che i genitori siano spettatori durante le partite, a non sostituirsi all’allenatore, a supportare i giovani atleti permettendo anche al figlio di sbagliare. Un atteggiamento positivo li può aiutare a capire che il successo non è determinato solo dal numero di vittorie, ma da come si riesce a far fronte al fallimento.

Noi della Nami Academy siamo orgogliosi dei nostri bambini anche “solo” nel vederli salire sul tatami, nell’ essere partecipi all’ attività sportiva e ……….

“Tuo figlio ha diritto di non essere un campione”